Auto-biografia di Antonio Iosa: nel convento di San Celestino
Dopo il liceo, si prevedeva l’anno di noviziato, prima di affrontare gli studi teologici a San Giorgio Canavese. Avevo circa 17 anni quando mi trasferii nella casa religiosa a Ripalimosani, un paesino della provincia di Campobasso.
Il convento “San Pier Celestino V” sorge, tuttora, a pochi chilometri dal fiume Biferno, in un’area circondata da boscaglia ove esiste il vicino Santuario della “Madonna della neve, stella delle quercigliole” (così inizia l’inno in suo onore).
Il convento è uno dei più antichi monumenti del Molise, risale al secolo X ed era un’abbazia dei Benedettini intitolata alla SS. Annunziata.
Nel 1282 prese il nome di “S. Maria degli Angeli”. Quando Pietro da Morone fu beatificato, nel 1313, il convento fu titolato a “San Pier Celestino V”.
Si sa che Pietro da Morone nacque ad Isernia nel 1215.
Eremita sulla Maiella, sant’uomo, esperto d’acqua e guaritore, Pietro da Morone fondò una Congregazione aderente all’Ordine dei Benedettini.
Sulla soglia degli ottantacinque anni, nell’aprile del 1294, ricevette la visita di Carlo d’Angiò e di suo figlio Martello.
La Chiesa, all’epoca, era scandalosamente acefala da 24 mesi: due cardinali della famiglia Colonna, contro i tre della famiglia Orsini, e rispettivi alleati, riuniti in conclave fra accesi contrasti non raggiungevano un accordo e nessuno disponeva dei voti richiesti pari ai due terzi del Collegio cardinalizio.
In tale situazione di stallo, il cinque luglio del 1294, fu eletto Papa, a sorpresa, per santità di vita, Pietro da Morone col nome di Celstino V, che fu incoronato all’Aquila, dove arrivò su dorso d’asino, come Gesù fece a Gerusalemme, suscitando l’entusiasmo popolare e la freddezza dei Cardinali.
La storia ci dice che Celestino V, deluso per la mondanità e la dissolutezza della curia romana con la quale non ebbe alcun contatto, dopo solo 5 mesi e 9 giorni, il 5 dicembre del 1294 abdicò al soglio e smise i paramenti papali per rindossare l’abito grigio del frate, ritornando a vita eremitica.
Tale abdicazione lasciò aperta la strada a Benedetto Caetani, che gli successe col nome di Bonifacio VIII e le cui idee teocratiche portarono ad una conflittualità politica permanente con i potenti dell’epoca e persino nelle contese interne alle città, tanto è che fu nemico della fazione dei “Bianchi” che si opponevano ai “Neri”, suoi alleati, in quel di Firenze.
Si sono dovuto attendere 720 anni prima che un altro Papa seguisse l’esempio di Celestino V.
E’ un papa emerito novantenne che vive tuttora nella Città del Vaticano col nome di Benedetto XVI, il tedesco Ratzinger.
Celestino V fu l’unico papa, in tutta la storia della Chiesa, a rinunciare al soglio pontificio e, “il Bianco” Dante Alighieri, lo collocò nell’inferno perché fu “colui che fece per viltà il gran rifiuto”.
L’eremita, non vile ma santo, visse in “cortese prigione” tra Anagni sede della corte papale e Castel Fumone, ben sorvegliato da Bonifacio VIII che, per evitare la contestazione di essere considerato un falso papa dopo l’insolita abdicazione di Celstino V, lo controllò sino alla morte avvenuta nel castello di Monte Fumone, in provincia di Frosinone, nel 1296. Nel 1730 ai Celestini, che abbandonarono il convento di Ripalimosoni, subentrarono i Minori Osservanti. Nel 1808, Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, soppresse gli ordini religiosi.
Il convento venne confiscato e devoluto al Demanio. Nel 1818, il convento si riaprì in seguito alla restaurazione del governo borbonico di Napoli e vi ritornarono i Minori Riformati, che si erano fusi con gli Osservanti, prendendo il nome di Frati Minori.
Nel 1867, in seguito alle leggi d’incameramento dei beni ecclesiastici, il convento venne chiuso e passò in proprietà al Municipio di Ripalimosani.
Nel 1872, il convento fu ridato ai Frati Minori che lo ripararono, ma perché povero di risorse, nel 1923, lo abbandonarono.
Dal 1926 ad oggi il convento è abitato dai Missionari Oblati di Maria Immacolata (O.M.I.). Al piano terreno il convento presenta il tipico chiostro dei conventi francescani con al centro il pozzo, che risale alla fine del cinquecento.
Degna di rilievo è la biblioteca nella quale sono raccolti, catalogati e razionalmente disposti migliaia di volumi.
La chiesa parrocchiale, ben distinta dal convento, conserva tracce di stile romanico - abruzzese nella zoccolatura della facciata e nel portale del secolo XIII con vestigia di affreschi nella lunetta (ora scomparsi).
Nell’interno la chiesa è in stile francescano con una navata centrale ed una laterale.
Si conserva il coro di legno di grande valore artistico che risale al 1646 e che fu scolpito a mano da una frate.
Vi sono anche due grandi quadri su tela di Scipione Cecere della fine del 1500 che rappresentano, uno S. Maria degli Angeli e l’altro la Madonna delle Grazie o di Costantinopoli.
Vi sono, inoltre, reliquari del seicento e pannelli della Scuola napoletana della fine del Cinquecento.
Gli oblati, dal 1926, svolgono un’azione missionaria e di predicazione, l’animazione giovanile, convegni e ritiri spirituali e un’intensa attività parrocchiale e pastorale.
Il noviziato, per le comunità religiose, è considerato l’anno di prova e, quindi, il più duro per verificare la propria vocazione e fare i conti con la propria scelta di vita.
La “regola” da osservare era molto più austera.
La vita quotidiana era costantemente rivolta alla preghiera e alla meditazione: dal “Mattutino”, con il canto dei salmi alle prime luci dell’alba, alla preghiera del “Vespro”, che aveva luogo al crepuscolo.
Inoltre s’intensificano le penitenze corporali con colpi di “cilicio”, un’autoflagellazione alle natiche e alle spalle per la mortificazione della carne, prima di andare a letto.
Il sesso era un tabù e si aspirava ad essere rigorosamente casti.
I religiosi, che scelgono di non vivere l’amore sessuale, sanno bene che cos’è l’estraneità rispetto alla donna e conoscono le debolezze in cui viene a trovarsi un giovane per il conseguente vuoto affettivo.
E’ risaputo che il peccato più grave per gli studenti, che vivono nei seminari o nei collegi o nei conventi, è quello contro la castità: l’onanismo o la masturbazione, le amicizie particolari che, dapprima platoniche o limitate a semplici sguardi o ricerca di compagnia, rischiano poi di diventare carnali con l’omosessualità clandestina anche tra i prelati, non per nulla una lobby è sempre annidata anche nel Vaticano.
Nel primo caso il confessore assolveva, a volte, benevolmente, a volte, burberamente, il giovane peccatore che confessava d’avere commesso peccato d’onanismo con la frase rituale “da adesso in poi, figliolo caro, non farlo più”! Seguivano, poi, l’atto di dolore e le immancabili preghiere di penitenza.
Nel secondo caso, in verità assai raro, non vi erano assoluzioni, anzi non si aveva neanche il tempo di confessare il proprio peccato.
Le amicizie particolari venivano subito scoperte e stroncate se innocenti o platoniche; in caso di atti impuri l’espulsione era immediata.
La Chiesa considera l’omosessualità un peccato gravissimo, perché intrinsicamente disordinato e considera tale orientamento solo e sempre peccaminoso, anche se nella sua storia molti ecclesiastici di ogni livello, si sono macchiati e continuano a macchiarsi di tale colpa.
Tutta la vita del “novizio” era, quindi, controllata dai reverendi padri, vigili nel seguire i tormenti spirituali, i turbamenti fisici e psichici dell’aspirante al sacerdozio e alla vita consacrata.
Ho resistito per quattro mesi a questo nuovo tipo di vita.
Mi sentivo stanco e debilitato, come svuotato nella mente e nello spirito.
Il fisico non resse allo stress e alla severità della regola.
Ebbi una ricaduta nella malattia polmonare.
Uscii definitivamente dal convento per curarmi e così tornai alla vita civile.
Ero nel mio diciottesimo anno di vita.
Per quanto riguarda la chiusura delle “scuole apostoliche” degli Oblati, esse scomparvero tra il 1973 e il 1976.
La chiusura di tali studentati fu possibile grazie all’affermarsi di nuovi orientamenti psicopedagogici e di sociologia pastorale nel campo delle vocazioni sacerdotali.
Si abbandonarono, definitivamente, le metodiche tradizionali relative alla formazione sacerdotale per adolescenti.
Il nuovo corso fu adottato anche da altri ordini religiosi, che puntarono sulle vocazioni mature e spontanee, anziché sul reclutamento adolescenziale degli aspiranti allo stato di perfezione evangelica.
Si offriva, infatti, ai giovani la consapevolezza della scelta operata con l’ingresso nel “noviziato”, non a 17 anni, ma fra i 23 e 24 anni, dando più garanzie per raggiungere la difficile meta del sacerdozio di Cristo.